TUTTE LE MIE POESIE

domenica 8 dicembre 2019

Intoccabile




Risultato immagini per cristian schole"
Ha il sapore di sconfitta
l'ultimo raggio
caduto sull'asfalto
La luce artefatta
consola i movimenti
e già si chiudono finestre
e porte sbattono
in faccia alla notte
Rimango sola a rallegrarmi
L'oscurità fa da coperta
alle tragedie del giorno
e per un attimo
quasi tutto sembra intoccabile
Anche la morte

domenica 24 novembre 2019

Tu tieni i fili



Con le mani tocchi i vetri sporchi e vorresti romperli, vorresti sfondare i muri, ingialliti dalla nicotina. Ti stendi come fossi un angelo planato sul letto, e con gli occhi stretti invochi il sonno, invochi il sogno invochi Dio.
Una musica penetra dalla finestra chiusa, ti striscia addosso. Invochi anche la musica, il canto, il rumore delle auto che dopo mezzanotte sono poche, ma hanno il volume della radio altissimo. 
Provi a riconoscere le note violente, ma non riesci a fermarle. 
Poi un attimo ed è silenzio. E sale forte il tuo rumore, che rompe i vetri del tuo animo in tempesta. I ricordi strillano, fanno affiorare le immagini violente, che si infilano nel letto accanto a te, illuminate dal vecchio abajour che trema la sua luce, trema come te. Riesci ad addormentarli, con il canto di un lamento che assomiglia ad una ninna nanna, poi ti allontani, come fa una mamma dal suo bambino, quando vede che ha preso sonno, e con le braccia aperte continui ad invocare il sonno ad invocare il sogno, ad invocare Dio. 
Apri gli occhi perché di colpo hai paura del silenzio, del buio e di te stessa. Guardi in alto il riflesso di una luce che è stanca di illuminare lo scenario insonne che si riapre tutte le notti! Come ad un teatro di burattini le tue ossessioni vanno a scendere e a salire, ad urlare a muoversi veloci e poi a sparire dietro il sipario, il tuo sipario. E li tieni lì, senza mandarli in scena, sei tu che muovi i fili...
sei che tu tieni i fili, TU tieni i fili! 
Molli la stretta delle palpebre e liberi gli occhi alla luce fioca che illumina la camera, guardando finalmente in faccia a questa notte sporca, sporca come le pareti della camera, che hanno assorbito fumo e sete e lamenti, e sguardi assenti. 
Ora sospiri piano. Ti culli, ti abbracci, ti accarezzi. Il rumore di una serranda tirata su ti dà l'orario. Fanno pasticcini dolci dietro quella serranda, con lo zucchero e il miele e marmellata di lamponi e crema al limone che sbotterà nei bomboloni caldi, a far godere le papille di chi li mangerà. Ti vesti e scendi correndo giù per le scale senza fuggire, senza paura, con il tuo vestito verde, che avvolge la tua tenera vittoria. Balli nella piazza silenziosa, sola... sola come te, come i gatti randagi dei vicoli, come la luna. Ti guardi intorno annusi la notte, come si annusa la farina, il pane, l'alba e il frinire delle cicale. E canti, canti, canti perché sei tu che tieni i fili.

Rimbalzi


 Immagine correlata

La carne ti vuole
il cuore ti duole


Sobbalzi di notte
in un sogno di morte
seppur di morire
nemmeno ti importa


Rimbalzi al mattino
su pensieri pesanti


Li abbandoni nel letto
tra lenzuola cadenti


L'animo rimbocchi
nell'attesa del giorno
e del mistero
ti vesti di nuovo




















mercoledì 20 novembre 2019

Pettirosso




















C'è un pettirosso attaccato alla neve
e la neve sul tetto
Come macchia di sangue
sul bianco risalta
S'alza in volo il petto sanguigno
e la neve torna vergine manto
C'è un pettirosso
nel cielo d'inverno
come schizzo di sangue
nell'azzurro rosseggia
Il tramonto gli ruba il colore
e divampa a ponente
In agguato la notte
tinge gli occhi di nero
e inchiostro diventa
il tetto coperto di neve

mercoledì 13 novembre 2019

In punta di piedi

Risultati immagini per christian schloe
Sono elastico lento se canto
sfilaccio di straccio se piango
Si svuotano i seni
se nutro le ore
con lacrime e miele
Sono figlia mai nata
da donna immortale
Sono in punta di piedi
sul bordo del modo
Mi affaccio un istante
ritraggo lo sguardo
Sono troppe le guerre
che combatte la mente
Sono lotte di sangue
che uccidono dentro

sabato 9 novembre 2019

Pesci rosa

Dislocation, Scale, Levitation Samy Charnine: "Magritte", surrealist artist similar to Dali.

Il tempo leviga i ricordi
sul taglio dei giorni
è come acqua di fiume
che scorrendo
e rende liscia la pietra
Risaliamo la corrente
come pesci rosa
Rimarrà di noi
il suono cristallino tra i sassi
un fiore sbocciato sull'argine
e l'addio

mercoledì 6 novembre 2019

Figlio


Down To Earth II    -   Michael Cheval

Rinasci ogni giorno su sorriso di madre
e da grembo di fierezza

Preziosi silenzi ci legano
e ti slegano

Una tenera solitudine
annulla le distanze
tra te e questa enorme stanza

Gusto l'assenza
Pietanza che ho preparato con cura
poi l'ho servita alla tua libertà

lunedì 4 novembre 2019

Opera d'arte

Johnny Depp001

Farò di te un'opera d'arte
disegnata con inchiostro di china
e con tratti marcati
segnerò il tuo destino
Traccerò i contorni
del tuo animo inquieto
con punte taglienti di mina
Dipingerò la tua bocca
con pennelli d'intinto vermiglio

Brucerò poi la tela
e con mani di cenere
scriverò la leggenda
di un amore mai in vita trovato

venerdì 1 novembre 2019

Crampi


Risultati immagini per christian schloe

Ho tutte le cose nel mondo nello stomaco
non so se assimilarle o vomitare

Ho ingoiato immagini e parole
sperando di poterle digerire

Neppure digiunare mi faceva stare bene
Ho i crampi nello stomaco e nel cuore

giovedì 24 ottobre 2019

Figli rifiutati





Immagine correlata







Piange la libertà
quando muore il rispetto

Al capezzale l'uguaglianza
si sente inutile

La compassione profuma d'incenso
fugge da una gabbia d'ottone

Risorge sulla pelle
di un colore diverso

Il rispetto fa festa
riempie bicchieri di pace

e brinda ai figli rifiutati

martedì 22 ottobre 2019

Vita inventata

Risultati immagini per christian schloe

Aspetto che cada
la foglia arrugginita d'autunno
sospesa sul ramo di nero corallo
e si vada a coprire di neve

leggermente montata

Aspetto che cada
il pensiero aggrappato alla notte
sospeso su un tratto di filo spinato
e si vada a coprire di vita

leggermente inventata


Viole


Risultati immagini per viole dipinto




















Gli occhi stringono il gelo
I passi tengono il velo al dolore
nella marcia nuziale
tra la vita e la morte

Cadono lacrime e confetti dal cielo
su sentieri coperti da fango
e da fiori nascosti

Il cuore pulsa al richiamo d’amore
in attesa del profumo di viole

Verdurock















Il microfono del centro commerciale aveva annunciato che i negozi stavano chiudendo. Le due ragazze alla cassa compilavano i moduli ripetendo ad alta voce. Una era impacciata, l'altra era arrogante.
La musica si abbassò di colpo e le luci si spensero.
Io ero chiusa nel camerino, incastrata in un vestito nero di due taglie più piccole della mia. Spostai la tenda e mi accorsi che la spia dell'allarme puntava dritto a me, così riabbassai velocemente. Cercai il cellulare in borsa. Si era spento, era scarico già dal pomeriggio! Mi sedetti sullo sgabello e mi guardai allo specchio in attesa di un'idea. La più semplice era quella di uscire e di far suonare l'allarme, ma immaginai di fronte a me due poliziotti che tentavano di sfilarmi il vestito e che mi obbligavano a salire su di una bilancia per rendermi consapevole del mio peso! 
Rimasi in silenzio e la visione sparì. La luce di emergenza era fioca, lo spogliatoio era piccolo e lo specchio pieno di ditate. Quell'arrogante della commessa avrebbe potuto pulirlo!
Guardai l'orologio, avevo fame erano le ore ventidue. Frugai nella borsa e trovai delle caramelle alla menta, dei cioccolatini e un pacchetto di patatine. Nella mia borsa c'era sempre qualcosa da mangiare. Sarei stata prigioniera fino alle ventidue del giorno dopo: dodici ore di prigionia con un vestito nero addosso! 

Appoggiata alla parete della cabina chiusi gli occhi, sentii una musica che arrivava da lontano, assomigliava ad una musica da balera.
Percorsi un sentiero alberato, camminando sull'erba bagnata, ed ecco mi apparve una band che suonava.
Sul palco un cartellone "La Verdurock". Vidi carote che battevano colpi sulla batteria, ravanelli che rimbalzavano sul pianoforte, lunghe melanzane che danzavano abbracciate ad esili zucchine e alcuni finocchi con capelli rosa che cantavano con voce sottile!
Mi avvicinai, volevo sedermi tra i primi posti ma era tutto pieno.
I bomboloni al cioccolato avevano invaso il pubblico con striscioni di protesta "No alla Verdurock".
Mentre le verdure agili saltavano e cantavano, i bomboloni sbadigliavano appesantiti dalla crema al cioccolato. In un angolo un hamburger tentava di farsi notare, improvvisando un salto acrobatico.
"Scusi si può spostare?" Disse un asparago rivolgendosi a me.
"Mi sta chiudendo il passaggio, devo andare in scena!
Ma cosa sei un ammasso di liquirizia o una balena di cioccolato fondente?"
Chiese ridendo. Fu in quel momento che mi svegliai. Con forza mi sfilai il vestito, la cerniera cedette e le cuciture si allentarono.

Alcuni mesi dopo scesi dalla bilancia e la dietologa mi guardò soddisfatta. La ragazza arrogante del negozio era stata licenziata, il nuovo commesso, elegante nei modi, mi allungò un tubino taglia 44, lo indossai e uscii dal camerino per farmi ammirare, danzando al centro del negozio. Sorrisi ripensando a quel sogno. Quando mi avvicinai alla cassa per pagare, il giovane mi guardò ed io lo guardai. Un attimo lungo, poi mi porse il bancomat e lo scontrino. Lo strinsi in mano e quando lo aprii, vidi che tra il bancomat e lo scontrino c'era un bigliettino piegato, con su scritto
"Sei proprio una bella patata!"

Non era poi così elegante il ragazzotto!











venerdì 18 ottobre 2019

Salto nel vuoto

Immagine correlata

Vuoto il pendio
son caduti gli eroi

Solo muschio sui sassi
in assenza di passi

Un guerriero
uno solo è rimasto

in cima alla roccia
Scruta il cielo deserto
con lo sguardo nascosto

Un salto nel vuoto
fa tremare la terra


Era il figlio dei sogni
tradito dal vento

giovedì 17 ottobre 2019

Flidais





“madonna” (30x40cm watercolour on paper)


Lui si sistemò di fianco a lei, i loro corpi a quel punto si toccarono, attraverso la spalla e il braccio. Si girò e lo guardò con occhi persi, persi come lei in quella notte di pioggia.

"Ascolta...
Era una tiepida mattina di primavera. Un soldato etrusco camminava irrequieto sulle sponde di un fiume, si era allontanato dall'accampamento perché voleva stare da solo. Lo scrosciare dell'acqua e il canto degli uccelli davano un po' di pace al suo cuore e, in attesa della battaglia, portavano via la paura. Improvvisamente udì un fruscio e per istinto si nascose dietro ad un cespuglio, immobile. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi, si sporse piano. Quella che vide fu una creatura meravigliosa, la più bella che avesse mai visto nella sua vita. Doveva appartenere alla tribù vicina, pensò incapace di ritrarsi. Lei non lo vide e si fermò a guardare il fiume dandogli le spalle, poi con un movimento delicato si sfilò i pochi vestiti che coprivano il suo corpo e rimase nuda. Aveva le gambe toniche e capelli biondi lunghi e fluenti che le scendevano lungo la schiena. Lo sguardo del soldato la seguì, lei piano accarezzò l'acqua con il palmo delle mani, poi si immerse fondendosi con essa e con i primi raggi del sole. Il soldato continuò ad osservare senza fiato e senza parole quella creatura che si era materializzata davanti ai suoi occhi, come fosse una dea. Finalmente lei si girò e i loro sguardi si incrociarono. Lui titubante si avvicinò alla sponda del fiume, lei nuotò lentamente verso la riva. Sarebbe fuggita veloce, come sempre davanti ad un pericolo. Non scappò, rimase in quello sguardo dove le sembrò che la sua anima fosse già stata. Lei era una celtica, non poteva assecondare quelle sensazioni, eppure quanto stava bene immersa in quegli occhi. Lei uscì dall'acqua e si chinò a raccogliere il vestito, lo indossò e fece per avvicinarsi a lui, quando sentì un dolore forte al piede nudo.
"Ti ha morsa quel serpente!" Urlò il soldato.
"Dobbiamo estrarre il veleno, potresti morire!" Si chinò, le strinse il piede tra le mani e succhiò il veleno dalla ferita.
"Mi aiuti?!" Si sorprese lei. " Eppure dovremmo essere nemici naturali io e te."
"Vuoi combattermi?" Le chiese il soldato. Lei esitò e fece per andare.
"Aspetta...vorrei vederti ancora." La supplicò.
"No! Il tuo esercito attaccherà il mio villaggio tra pochi giorni." Rispose lei. Poi, senza far riemergere i suoi occhi da quelli del soldato, si portò le mani dietro al collo, slacciò una collana e gliela porse.
"Vorrei che lo tenessi tu, e se qualcuno ti chiederà spiegazioni..."
"La terrà nascosto!" La interruppe lui. "Sotto la camicia, sul mio petto". Stringendo con una mano il ciondolo che la finiva.
"Ma ti prego, domani torna."
Lei si voltò e velocemente scomparve tra il verde della collina. Lui rimase a guardare verso il bosco, riusciva a sentire la sensazione di lei anche senza vederla.

La ragazza celtica, sapeva che sarebbe stato pericoloso, ma come avrebbe potuto pensare di non andare... una forza nuova e misteriosa la spingeva, sembrava che niente contasse di più.
I passi leggeri nella penombra di quel mattino, quando il sole ancora non faceva il suo ingresso, la condussero. Attraversò il bosco, senza paura. Il vestito si impiglio più volte, ma lei correva, senza curandosi di strapparlo. Puntava dritta al fiume, senza voltarsi. Risalì la collina, scivolò più volte, cadde a terra e sentì la rugiada bagnarle le gambe. Quando fu in cima bastò lasciarsi andare in quella discesa, aprì la braccia e corse verso il fiume. Gli sembrò di volare, perdendo il contatto con il suolo. Era lì il suo soldato, appoggiato al pioppo che dominava quella sponda del fiume. Avvertì i suoi passi e lo spostamento dell'aria e di scatto alzò la testa. Senza respiro lui la guardò. Lei lo guardò senza respirare. Poi tutto intorno si fermò. Due universi uno di fronte all'altro, e loro due pronti a varcare quel confine. Rimasero in silenzio, mentre gli occhi permisero loro di spaziare uno dentro il mondo dell'altro. Avrebbero potuto stare in quello stallo magico per giorni, ma i corpi, anch'essi, si cercarono. Il soldato si avvicinò, poggiò le labbra su quelle della ragazza, fu un bacio interminabile. Le sue braccia forti la stringevano i corpi furono tutt'uno con la loro anima. Una sensazione che nessuno dei due aveva mai provato prima. Il tappeto verde li accolse nudi, nel silenzio di quell'incanto che assomigliava al paradiso.
Le loro anime si fusero in un orgasmo spirituale che li portò in luoghi sconosciuti dove la realtà non esisteva.
E così tutte le mattine si allontanava, i suoi passi appena fuori dal villaggio diventavano più veloci. Nessuna paura la bloccava, quando andava verso il suo soldato non temeva nulla. Era come se tutto fosse al di sotto di quello che provava. Cosa provava? Non era facile da chiamare con un nome, qualcosa che non aveva mai provato prima. Da un istinto irrefrenabile ad una passione tenera, da un'intesa che attraversava gli sguardi ad un legame che univa due spiriti. La sensazione che fosse legata al suo respiro anche quando non erano vicini e poi l'assenza di paura. L'assenza di paura era lo stato d'animo che la portava a pensare che quello fosse l' AMORE VERO.

Un giorno la ragazza, mentre andava dal suo soldato, sentì un rumore, si voltò, ma non vide nessuno. Si fermò un attimo e un lieve venticello portò via il timore che qualcuno la stesse seguendo.Quando fu tra le braccia del suo soldato fu presto mattina.

Il sole fu l'unico testimone.

Non arrivarono con cavalli e scudi, né con corazze di metallo. Solo due lame luccicarono, lunghe e affilate, su di esse vi erano raffigurati due falchi che per la ferocia incutevano terrore.
Non ebbero il tempo di aver paura.
Le spade li colsero in un abbraccio. Sarebbe bastata una sola lama per trafiggere i loro corpi, tanto stretti da sembrare un corpo solo.
Senza parole, senza grida, si trovarono al di là della sponda del fiume, del loro fiume. Due corpi acerbi giacevano sull'erba fresca in un giorno appena nato. Un ciondolo rimasto impigliato ad un piccolo arbusto dondolava lentamente. I corpi, cadendo, si erano staccati, ma la mano di lui stringeva la mano di lei in una morsa che neppure la morte era riuscita a staccare.






mercoledì 16 ottobre 2019









Ha preso domicilio a casa mia. Residenza no, figurati: è un uccel di bosco. Viene quando vuole!

Niente affitto, cibo gratis... belle vedute... ma non apprezza, il giovincello e frigna. Stamane ha cominciato a strillazzare dalle cinque, e m’ha svegliata: colpa sua se ho mal di testa. Però, essere svegliata da un uccello... non male... è così melodico!

Me-lo-dico tutte le notti... ME LO DICO e basta!

Sembra facile, appena svegli, pensare di arrivare dal letto al distributore del caffè, del secondo caffè dato che il primo non serve a gran che: è il secondo che risolve ogni situazione.

La macchinetta del secondo caffè è situata di fianco alla porta dell’ufficio del vice-direttore.

Non è vicina ma ci si arriva... basta mollare lo specchio del bagno (inutile fissarlo, è troppo sincero, ti rovina la giornata se continui a fissarlo), scendere in garage, aspettare verde a tre semafori, percorrere una deviazione, salire le scale e... finalmente sei lì di fronte a lei, imponente e maestosa, zeppa di merendine, latte, the, succhi di ogni genere: mirtillo, agrumi e ogni ben di dieta per impiegate in carne. È in quel preciso istante che ti viene in mente l’uccello sotto forma di mal di testa!

Prendo una compressa, ho mal di testa, la prendo con il caffè... che fa dilatare i vasi sanguigni e fa più veloce l’assorbimento... poi bere caffè fa bene, mi ricordo di un articolo che ho letto sul giornale, dal dentista; no dalla parrucchiera... forse era la pagina dove era avvolta la zuccheriera di ceramica; Kaled, il tipo del mercatino dell’usato, ha solo giornali interessanti, che usa per avvolgere la merce, che ritiene preziosa e incarta ben benino, come il piadinaro quando t’accartoccia in carta oliata la piadina fumante appena fatta dalle sue mani.

L’articolo ricordava che secondo uno studio della Harvard School of Public Health (in neretto il nome della scuola, importante dunque, senza dubbio, sennò mica lo mettevano in neretto), secondo uno studio della famosa School britannica, bere caffè riduce di almeno il 50% la propensione al suicidio. Non credo di aver mai pensato a suicidarmi, se non nel frattempo che intercorre tra dormire ed essere svegliata da un uccello di merda. MERDA: che enorme offesa per gli uccelli appioppargli l’aggettivo.

MERDA! Un uccello m’ha cacato sulla bella camicia bianca... Tre secondi di panico e poi mi metto a correre (che ridi? correresti pure tu, correremmo tutti) con un sorriso speranzoso sulle labbra. Corriamo a comprare un gratta e vinci, giochiamo al lotto, guardiamo per terra se mai ci fosse un portafogli gonfio di banconote e senza documenti. No perché, se ci sono i documenti, non si può prendere il danaro. Siamo troppo onesti per farlo, tutti, quasi tutti... alcuni... IO. Nessuna vincita, nessuna buona combinazione, nessun portafoglio abbandonato: e allora che cappero voleva quell’uccello? proprio sulla mia camicia doveva scaricare merda detta fortunata? La dea bendata che si camuffa da cacca?... Ma dai, vai lavorare che almeno lo stipendio – dopo aver incontrato i 40 ladroni; 40? forse qualcuno in più – te lo versano sul conto e fidati: una piccola parte è tua.

Ora posso finalmente prenotare la vacanza. Vacanza è troppo: posso prenotare un giorno di vacanza alle cascate. Una vacanza accessibile: metano per il viaggio tre euro circa, panino al chiosco due euro solo con prosciutto, tre euro se farcito, l’acqua me la porto da casa: non sarà ben fresca ma me la faccio andare bene. Le cascate sono gratis, il fiume è gratis, l’acqua è ancora gratis – che sia dolce oppur salata.

Non va bevuta però! Quella da bere si paga.

Al distributore ho il bicchierino di plastica in mano, pieno a metà, il caffè è liofilizzato, schifoso, sogno un sega-fredo... «Questo non è un caffè, proprio no», confermo dopo essermi riempita la bocca per mandar giù la compressa, «è come la sega-tura in confronto a un tronco».

La bianca compressa scivola lenta, non le aggrada scendere col caffè nero. «Mi hanno sempre detto che avrei viaggiato su acque limpide». Ma intanto va e segue la corrente. Dal faringe, lungo l’esofago, fino allo stomaco, sballottata e un po’ impacciata: «Permesso, scusate, non avrei nemmeno voluto sfiorare le vostre graziose pareti viscide, ma devo salvare un cervello devastato, racchiuso nella testa, sotto una chioma di capelli biondi, per la precisione biondi ossigenati, perché di bionde naturali non ce ne sono più».

Atterro nello stomaco, sono ancora una compressa bella tonda, solo scheggiata in alcuni punti; il mio bianco spicca su di un mare scuro, qua e là qualche relitto, che naviga su acque sporche, poi sparisco tra le contrazioni di muscoli, sembrano scogli morbidi che risucchiano pezzetti di wurstel (parenti dell’insalata di riso della sera prima). Ancorata ad una piega gastrica mi chiedo: «Che ci faccio qua? io tutta bianca, mi sento discriminata. Non voglio sciogliermi, in questa ciofeca di caffè!».

Non mi sciolgo nemmeno quando l’onda del caffè quasi mi catapulta nel duodeno. Passa la contrazione, s’abbassa l’onda, ritorna un po’ di quiete. Rimetto la scatoletta della compresse in borsa; erano rimaste sul tavolo di fianco al distributore del caffè. E sento il canto dell’uccello.

Una marea, un’alta marea. Il mare nero s’alza, s’alza. Un rumore mi fa sussultare lo stomaco; anche gli altri visceri sobbalzano, sopra e sotto. La milza resta ferma sotto le costole, poi si libera e dondola viscida. È un organo viscido la milza!

«È un attentato!» penso, aggrappata all’ultimo pezzetto di wurstel che naviga con me, senza alcuna speranza di riuscire a salvarci. Non mi resta che sciogliermi, umiliata nel caffè liofilizzato.

Se non mi mandava giù con il caffè a quest’ora sarebbe ancora in posizione verticale e non a terra senza sensi... senza senso... ma stretta tra le braccia del vice direttore.

«Signorina...!». Quelle labbra fingono di soffiare ossigeno, e invece stanno pompando passione.

«È morta!».

«È morta?».

Morta o no, se non fosse stato per quell’uccello mica sarei qui col vice-direttore.

Qui, alle cascate del Niagara, c’è tanta umidità.

Passo e chiudo la tendina. Ho da fare!




martedì 8 ottobre 2019

Posati autunno



Risultati immagini per immagini d'autunno dipinti

Posati autunno
sulle foglie strappate dal vento

Sul viale vuoto al tramonto
e sui cuori che pregano stanchi

Posati autunno
sulle rughe dei giorni e del tempo

Posati sulle mattine senza alba
e sugli occhi che scrutano il cielo

senza brividi dentro

sabato 5 ottobre 2019

Assenza



ilclanmariapia: André Kohn

I giorni s'imbevono di te
e della tua assenza
Dinnanzi al tuo non esserci
accarezzo il ricordo
e siamo di nuovo protagonisti
del non essere stati noi
Giunge a me un richiamo
d'amore
Amo la notte
e il silenzio
Come fossimo noi due
uno accanto all'altro
a contare i pianeti
che piano scompaiono
nei miei occhi

mercoledì 2 ottobre 2019

Legati

Immagine correlata


I lembi stropicciati della gonna
nascondono i passi
Piango la strada
gli alberi
e te
Ascolto il silenzio
ai piedi delle parole
Il dolore ha gli occhi grandi
mi fissa come fosse un gatto
Uno sguardo complice
che lega l'assenza

domenica 29 settembre 2019

L'altra metà del mare


Immagine correlata

Riesco ad immaginare il mare
attraverso i tuoi occhi scuri
Veglio la riva e provo con te a nuotare
Supplico la luna che si rifletta
sulle onde tese
avvolta dalle nuvole anche lei si sente sola
Piange con te il cielo sulle acque
color rubino
Sanguina il mio sguardo
dentro i tuoi occhi grandi
che vedono senza guardare
l'altra metà del mare

mercoledì 25 settembre 2019

La rosa illegale

Risultati immagini per rosa nere

Ho comprato una rosa illegale
profumava e pungeva uguale
Tra le mani di un giovane uomo
dalla pelle colore del suolo
Nel mare di un vaso è vissuta sicura
È morta una sera la rosa
Secco il bocciolo ha perso i colori
sdraiato in un libro
di belle parole       

domenica 22 settembre 2019

Pioggia

Risultati immagini per dipinto pioggia

Dorme la notte
nello spazio incolmabile della stanza

Si posa il silenzio
sui fiori ricamati della tenda

Un pugno d'acqua in faccia al giorno
e si svela l'alba

Un temporale veglia dietro ai palazzi
Un uomo vende rose di colore

Pioggia di vita in arrivo

sabato 21 settembre 2019

Sole

               
~ Roza Goneva ~
Nel nulla apparente di occhi
che osservano 
un giorno che nasce

C'è un posto
dove danzano le anime sole

e il vagare si ferma
nella forza del sole

giovedì 12 settembre 2019

Una rotonda sul mare



                 Risultati immagini per gelsomino azzurro


Passa un’auto, passa un camion, passa un’altra auto e un altro camion, passano dieci auto, passano dieci camion, passano cento auto, passano cento camion, passano mille auto e mille camion. Passano mille bici. No! Le biciclette che passano sono meno.
Si corregge il mio dirimpettaio semaforo! È un po’ esaltato, il tipo.
Sui balconi, quelli al terzo piano, la vita è ariosa, io vivo quassù, non scendo mai, non so fare le scale e non arrivo al pulsante dell’ascensore. Vivo alla stessa altezza dei semafori, del vento e dei fili della luce. La luce del sole è spesso appannata dalle polveri sottili, color fumo di Londra. Vivo con San Pedro, un cactus verdognolo e taciturno, io invece: chiacchiero e sono dello stesso colore del mare. Je suis: Gelsomina.

– Passano gli autobus e le moto, a volte passa il circo, e le giostre, caricate su rimorchi trainati da camion. Il circo passa d’inverno, le giostre d’estate, a volte accade il contrario. Passano a volte astri legati a nastri, volano alla mia altezza, poi proseguono velocemente. Oggi non ne è passato nessuno, vero Gelsomina?
No! Confermo oggi non ne ho visti passare. Una volta un astro legato al nastro si è impigliato al cactus della signora che vive nell’appartamento del mio balcone.
Il cactus, la signora lo tiene sul balcone. Anche io vivo sul balcone. San Pedro mi fa ombra, quando il sole picchia forte. Il sole al cactus piace. La signora non ci dà mai, mai da bere. E meno male che i cactus vivono senza acqua anche per anni. Io invece spesso mi affloscio! Fortuna che ogni tanto piove! Vero Pedro? Non risponde! Ha un carattere spinoso.

– Passano i giorni, e io sono appeso, qui, all’incrocio tra due stradoni. Due stradoni molto trafficati. Sono una lanterna semaforica. (Si dà delle arie: è un semaforo, un semplice semaforo) Passano gli anni, passa il tempo e passano le stagioni. Le stagioni sono fredde e calde, altre tiepide, ma il vento c’è in tutte le stagioni. Il vento mi scuote, mi dondola, mi sfinisce a volte, quando è impetuoso. Spesso è testardo quando soffia sempre nella medesima direzione, altre volte è burlone e gira su se stesso. Viviamo alla stessa altezza dei palazzi e delle cime degli alberi. Lui va e viene, a volte si abbassa, altre si alza, io non mi muovo, io non vado, io sto! Vanno gli altri, quelli che passano sotto di me: a volte si arrestano, altre non mi considerano. Quelli che non mi considerano, sono puniti, sì puniti. Io li tengo tutti sotto controllo, li manovro con i miei colori. I miei colori: gli unici ad avere tale potere. Il vento, invece, non ha colori propri: dice di essere bianco di giorno e nero di notte!
– Sì, sono bianco! Bianco come il giorno, come la neve, come il latte, come il gesso, come la purezza. Ma sono anche nero: nero come la notte, come il carbone, come la pece, come l’inchiostro, nero come il mistero. Io sono bianco di giorno e nero di notte! – afferma il vento.
– Bianco o nero? Bianco di giorno e nero di notte? – Chiese infastidito il semaforo.
– Sì! Io sono di tutti i colori, tranne che di quel grigiore che ti annebbia. – Rispose il vento.
Il semaforo fece finta di non sentirlo...
E di sera? Di che colore sei, vento, di sera? – Continuò.
– Di sera sono rosso, come il tramonto, come le labbra dopo un bacio appassionato, come le ciliege, come le fragole, come la passione.
– Che ne sai tu della passione vento? – Continua il semaforo.
– Il tuo colore di sera, vento, quello che rubi al tramonto, io lo posseggo ed è capace di arrestare le macchine, i camion e le bici. Tutti si fermano al cospetto del mio colore (quasi tutti). Gli amanti si baciano, i solitari danno boccate alla sigaretta, i bambini si sporgono dal finestrino, quando io sono rosso e... gli amanti continuano a baciarsi sotto il mio sguardo sanguigno. Poi l’auto di dietro dà un colpo di clacson e i due amanti si staccano da quel bacio da me concesso. Ho la potenza di scandire il tempo con i miei colori. Io i colori li posseggo. – Continua il semaforo.
– I miei amanti di sera si abbracciano, senza tempo, si abbracciano per ore. – Replica il vento.
– A lei scompiglio i capelli e lui glieli sposta dolcemente dal viso, poi cerca i suoi baci. I baci del colore e del rosso che io sono di sera. Io sono il colore.
– Tu non sei e non possiedi nessun colore, vento. Tu prendi in prestito i colori dalla terra e dal cielo, dal mare, dai prati, dal giorno e dalla notte. È la natura che ti cede i suoi colori.
Tu sei trasparente come l’aria, come l’acqua, come il vetro... Sei un ladro, vento!
– E tu, semaforo, sei un presuntuoso, falso e arrogante! Sei un vecchio portatore di segnali e luminosità artificiale, il tuo vero colore è il grigio del fumo che le mille auto e i mille camion rilasciano nell’aria, attraverso mille accelerazioni a motore accesso.
Infuriato il vento si allontanò soffiando forte, tanto che il semaforo iniziò a dondolare.
Quanto litigano ’sti due! È bianco è nero è rosso è verde... ma come sono fertili i colori italiani! Per fortuna che io sono dello stesso colore del mare.
Anche se a furia di respirare il fumo dei mezzi fermi al semaforo, diventerò grigia come un topo, e a te Pedro ti cadranno le spine e diventerai un cactus pelato! Pedro dai, su, rispondi, dimmi qualcosa.
– Il vento oggi non è venuto a trovarmi, sarà andato in collina: è afoso oggi in città.
Le auto, i camion hanno i finestrini abbassati, e le nuvole sono pesanti di pioggia, nel cielo.

Verso sera, l’aria diventò più fresca. Il vento si stava riavvicinando alla città. Arrivò soffiando piano:
– Io sono verde, verde come i pascoli, come le chiome degli alberi, come lo smeraldo, come la speranza.
– In collina divento venticello, asciugo i panni stesi e faccio volare in alto le piume delle galline spennate. – Disse il vento girando intorno al semaforo. Era tornato con la voglia di sfidare la vecchia lanterna semaforica!
In quel preciso istante scattò il verde!
– Et voilà! – Disse il semaforo.
– Ecco il mio verde!
Verde come te, vecchio San Pedro!
Stasera è più spinoso che mai, il mio amico, non mi rivolge la parola. Gli ho chiesto se ha sete, ma nulla, non risponde. Mi affaccio e guardo la città. Il semaforo lampeggia, il vento è assente, qualche macchina rallenta sotto l’intermittenza del colore arancio, e io farfuglio da sola, tanto Pedro non parla.
Verso mezzogiorno del giorno dopo, un lieve scirocco si alzò nell’aria. Il sole con i suoi raggi infuocati arroventava le carcasse dei veicoli sui due stradoni. Le nuvole erano ancora pesanti di pioggia, nel cielo.
– Sono giallo: come il sole, come il tuorlo di un uovo, come l’oro, come l’energia del buon umore, come il narciso.
– Eccolo è arrivato! – Urlò il semaforo.
– Altro che buon umore, vento Narciso, come quel vanitoso fiore.
– Il mio giallo invece... – Ma il semaforo non ebbe il tempo di rispondere. Fu una barca, fu l’albero di una barca a vela, che viaggiava sopra un camion, nell’attesa di navigare sulle acque limpide del mare. Ma di acqua ci fu solo la pioggia.
tuono, due tuoni, mille tuoni, e la pioggia cadde torrenziale, tanto che la barca, sbilenca sul camion, tentò di scendere, ammirando l’acqua che saliva, saliva dall’asfalto dei due stradoni. Lasciò che lo scafo si bagnasse in quel mare di acqua artificiale (lo desiderava dalla partenza, da più di seicento chilometri).
Il vento era impazzito! Alzava le grida e il brusio dei passeggeri all’altezza dei palazzi.
Un’ambulanza con la sirena accesa si sentiva in lontananza, poi sempre più vicino, ancora più vicino. C’era stato un morto! L’auto era fracassata, il semaforo aveva fracassato la capotta e si era infilato nel sedile posteriore. Un passeggero inatteso si era staccato dall’asta di metallo. Una signora sanguinava dalla fronte, altre signore si portavano le mani alla testa.
Pedro, guarda che strage! Il semaforo è caduto, la signora l’hanno caricata sull’ambulanza, il traffico è bloccato, sembrano tanti relitti in mare, queste carcasse colorate, e le luci dell’ambulanza e la barca rovesciata.
Il vento soffia con rabbia, e cambia colore ogni istante, diventa del colore della sirena, del sangue, della tempesta, delle foglie strappate, del cielo nero, della pioggia, dei lampi. Sembra una furia!
Mi sento sballottare, Pedro, aiuto... Pedro sei caduto? 
– Pedrooo.
– Gelsominaaa.

Poi la discesa libera, e l’atterraggio tra le auto, tra la gente, ai piedi della barca, e nell’acqua piovana, scese prima Pedro, poi Gelsomina.
Il vento era riuscito a far volare un cactus e un gelsomino, che in assenza di ali erano finiti a terra.
Per l’ultimo saluto, tutti insieme gli astri legati alle cordelle si alzarono in volo, lasciarono il venditore con il naso all’insù, le mani in tasca e, gonfi di elio, sparirono liberi nel cielo.
Pedro morì. Il semaforo morì.
– E il vento? – Il vento soffia una brezza marina.

I due stradoni furono chiusi, il traffico fu deviato sulla strada parallela. I lavori durarono alcuni mesi, poi nacque lei: una rotonda piena di fiori azzurri.
Dello stesso colore del mare.








domenica 11 agosto 2019

Il cane di tutti


Risultati immagini per cane dipinto in mezzo alla gente













Ei fu.


Siccome immobile,


dato il mortal sospiro,


stette la spoglia


immemore orba


di tanto spiro...”



Era il 5 maggio, nei versi di Manzoni… Era il 5 maggio quando morì Peppino, un cittadino onorario di un piccolo paese di montagna.
Peppino non era un vagabondo ma non aveva fissa dimora e, in quindici anni di permanenza nel piccolo paesello, non aveva un posto fisso, né per mangiare e neppure per dormire.
Si racconta, in paese, che un cucciolo nero di razza meticcia, nella primavera di
alcuni anni prima, si aggirava per i vicoli del paese: nessuno aveva mai saputo come fosse
capitato lì.
- E’ scappato dai suoi padroni - diceva qualcuno;
- Si sarà perso!- replicava qualcun altro;
- Lo hanno abbandonato- affermavano altri ancora.
Fatto sta che Peppino, il cane senza residenza, conquistò la simpatia di 
tutti, in poco tempo.
In piazza, da cucciolo, era il gioco dei bambini che lo strattonavano qua e là come
fosse un pupazzo; poi, da pupazzo, crescendo, divenne il custode dei bambini, infatti badava a loro quando giocavano, mentre le mamme chiacchieravano con le comari.
All’ora di pranzo, l’anziana signora o il fornaio, la sarta o l’ufficiale di posta gli davano da mangiare. Durante la notte, trovava riparo in una delle tante case del paese, mai la stessa: era ospite di tutti ma nessuno lo faceva sentire un ospite.
Dopo qualche tempo, Peppino, grassoccio e con il pelo lucido nero, era diventato uno del posto, si era ambientato e affezionato a quella gente semplice, che tanto lo amava e che lo aveva accolto nella sua comunità, considerandolo uno di loro.

- La banda è arrivata! - urlavano i bambini, entusiasti di sentire trombe e tamburi suonare in giro per il paesello. Era la festa del patrono.
Il parroco radunava i giovanotti più muscolosi del paese che, nella processione, avrebbero portato a spalla la statua. Le donne svelte, chiamavano i bambini dentro casa:
- Inizia la festa venite a cambiarvi! -.
Quando tutto era pronto, si partiva in corteo: in prima fila i chierichetti portavano
le statue degli angeli, qualcuno di loro era distratto e mangiava le caramelle che si era nascosto in tasca, a seguire, il sacerdote, i ragazzotti con la statua sulle spalle, le donne con il velo, gli uomini con le scarpe lucide e le anziane sottobraccio alle più giovani, infine, Peppino.
Peppino non si perdeva mai una processione, seguiva il corteo in decoroso e composto silenzio. Solo quando i botti dei fuochi di artificio iniziavano a rombare nell’aria, il cane abbaiava e si andava a nascondere.
Ma non era l’unica cerimonia alla quale Peppino partecipava. Il cane accompagnava anche tutti i cortei funebri: tutti quelli che morivano erano i suoi padroni e vi era affezionato. Aspettava, sull’uscio della chiesa, la salma, poi si metteva tra i parenti a seguire il corteo, a testa bassa.
Si dice che, a volte, passasse la prima notte al cimitero con il defunto.
Gli anni passavano e il cane di tutti diventava anziano. Una mattina, lo trovarono nel prato davanti alla chiesa, steso, con le zampette rivolte verso l’alto: era il 5 maggio. Tutto il paese si strinse intorno al cane. Addolorati dalla sua scomparsa, gli uomini del paese, lo portarono tra il verde dei colli, lo seppellirono sul margine del tratturo, che, in passato, aveva visto passare numerose transumanze.
Altri si occuparono del manifesto che venne affisso sui muri del paese, poi tutti
insieme si recarono dal sindaco a chiedere la cittadinanza onoraria.
Il sindaco del paese, non ebbe difficoltà a concederla, in quanto Peppino era anche il suo cane.
​Ancora oggi sul margine del tratturo, una ginestra gialla, fiorisce ogni primavera.

Peppino, riposa sulle morbide colline di Matrice, piccolo paese in provincia di Campobasso.

venerdì 2 agosto 2019

Le ciabatte a pois



Risultati immagini per ciabatte a pois



Io flemma: ti blocco le gambe, il cervello e i muscoli della bocca.


Fortuna che quando sei partita non avevi dato le sette mandate alla porta blindata! E’ stata già una fatica trovare le chiavi ed aprire il portone, figurati la porta. Porta le scarpe rosse, di tela, il tuo vicino, passa, ti saluta e prosegue. Tu saluti con un cenno del capo. Lasci aperta anche la buchetta della posta, così da non far fatica ad aprirla: chi mai prenderebbe le tue bollette, e tutta quella pubblicità. Però, c’è la carne di cavallo in offerta al Dico... gli dai una sbirciata. Io dico che tu non mangi la carne di cavallo. Accartocci tutto, tranne le bollette, quelle le pagherai, tra qualche giorno, vorresti buttare le scartoffie nel secchio del pattume sotto al lavello ma è troppo in giù, le appoggi sul lavandino.


Cerchi le pantofole, le hai acquistate due numeri più grandi del tuo, così le infili con facilità.


Ti spogli, e ti rivesti: tuta in acetato, contro tuta felpata: orrore, terrore... Mi piaci così!


Cerchi il ragno che avevi lasciato nell’angolo della cucina. Non lo trovi. Sarà scappato durante la tua assenza, oppure avrà messo su famiglia, sulle travi di legno. Tonfi sul letto, e lì che mi mi ami, è lì che mi vuoi. Sul letto. La valigia è rimasta chiusa, ciò che resta del viaggio, ora è prigioniero in quei panni sporchi. Stendi le gambe, più stese, di più! Suona il campanello. Il cervello lo tengo bloccato, legato al non pensiero. Non ti alzi. Suona di nuovo e risuonano i rintocchi dell’orologio al muro, puntato ancora sull’ora solare. Hai sete, bradipi verso il frigo, lo apri, è vuoto, trovi un limone rinsecchito, lo butti via e afferri una bottiglia di nocino, fatto in casa, dalla nonna, con le noci raccolte nella notte di San Giovanni di sette anni fa. E’ dolce, è denso, è scuro è alcolico. Era stato dimenticato nel frigo. Aritonfi sul letto e sogni di indossare un paio di ciabattine bianche con i pois rossi.


Io brio: ti sblocco le gambe, il cervello e i muscoli della bocca.


Ti piacerebbe sapere chi ha lasciato il portone aperto. Entri. Appoggi la valigia e dai le sette mandate, ti senti al sicuro con quella porta. Porta le scarpe rosse, il tuo vicino, di tela, passa e ti sorride, gli sorridi anche tu. Apri la buchetta della posta, la chiave e vicino a quella del garage, non ti sbaglio mai!


Tua cugina si sposa, una partecipazione di nozze lo annuncia. Niente bollette, niente pubblicità, la signora dell’ultimo piano ha scritto un cartello grandissimo: No pubblicità. Appena dentro cerchi le ciabattine bianche a pois rossi. Non ti spogli, potrebbe suonare il vicino. Vicino è chi pensa a te, anche se è lontano, poi immagina se è vicino. Che bella frase! Cerchi un pennarello indelebile, questa non deve sfuggirti. Giri per casa con il pennarello in mano e la frase nella testa, anzi no, la frase la ripeti ad alta voce. Prendi la scala, cerchi la scala, non hai la scala. Prendi una sedia, le tue gambe sono elastiche, con un movimento naturale vi sali sopra. Sei di spalle alla porta di entrata, la tua mano dipinge la parete sopra al divano, e scrivi... La tua frase sul muro, un opera di arti e cervello, aggiungerei. Saltelli intorno al tavolo. Giro giro tondo quanto è bello il mondo, è bello come la terra e mai più ci sarà la guerra. Suona il campanello, ti sembra di aver sentito il campanello suonare, trattieni il fiato. No, non suona... ancora. I limoni, ecco i limoni non devono mancare mai nel tuo frigo. Anche il limoncello, quello per gli ospiti. Per te il tè . Lo spremi tutto, il limone, nel tè, aggiungi un po' di zucchero, e bevi tutto d’un fiato. Ti scotti la lingua, era bollente. Suona il campanello, sta suonando il campanello... Ehi stavolta suona davvero. Lanci le ciabattine a pois così lontano, che arrivano ad un sogno. “Un sogno si vestì con gli abiti da donna” reciti i tuoi versi in silenzio... cammini a piedi nudi fino alla porta. La apri, lui ha le scarpe rosse, di tela, tu hai le labbra rosse di tè.

















giovedì 1 agosto 2019

Senza dolore





Vennero le nuvole grosse e nere
a rapire una mattina il sole

La pioggia cadde incessantemente fino a sera

Nel gelido delle certezze morì l'illusione
che aveva cullato per tanto l'assurdità

Senza dolore







L'asino che vola

Risultati immagini per asino che vola







La capacità di liberarsi nell’aria è una caratteristica dell’asino che vola, è una abilità che parte dal decollo: dal decollo o dal tracollo, dipende da quanto impiega per imparare a spiccare il volo.

L’asino che vola nasce senza ali, gli spunteranno nei primi mesi di vita. Da principio l’asino non vola, saltella. Intorno al quarto mese, due piccole protuberanze sul dorso, si aprono e spuntano le ali, simili a quelle dei chirotteri. Ci vorrà ancora qualche mese, affinché le ali siano pronte per far volare l’asino. L’asino che vola è leggero, pesa poco più di una piuma, più-ma non troppo. E’ socievole, mite, un po' gonzo e un po' ganzo, al contrario dei suoi simili di razza: non è cocciuto, non è stupido e nemmeno pigro. Infatti mai nessuno lo chiama ciuco, e nemmeno somaro. Ha il pelo corto e morbido, e più scuro del color ambra chiaro e più chiaro del color ambra scuro, cioè dello stesso colore di alcune zucche fra i vapori sospesi nell’aria, forse leggermente più lindo . L’asino che vola, può essere cavalcato, ma solo da chi non soffre di vertigini, e di veritagini. Può raggiungere la velocità di circa sette/diecimila chilometri all’istante, dipende dalla sua alimentazione. L’asino che vola si nutre di prodotti light, si disseta di fanta- sia in bottiglie che in barattoli. L’asino che vola è stravagante, ha la testa leggera e i pensieri vaporosi. L’asino che vola, volava già ai tempi degli Pterosauri...e lì non faceva una grande figura, questi ultimi avevano un’apertura d’ali pari a dieci metri. Ma l’asino con la sua apertura pari alla metà della metà dell’apertura dei Pterosauri volava così in alto che divenne amico di Mercurio. 

 – Oh Mercurio, pianeta dei termometri in via d’estinzione, messaggero degli dei, Ermes che non sei altro – lo salutava così, in modo cosmico. Ma Mercurio, spesso aveva la luna storta: tutta colpa delle sue congiunzioni astrali!














martedì 30 luglio 2019




Silenzio

Stringi il mio disordine

Affido a te nobile esecutore
di tacite sentenze
le urla della mente

Processa le inutili parole
il falso dire
e le filastrocche maledette

Assolvi l'alfabeto degli occhi
e trasformati in poesia
                 



mercoledì 17 luglio 2019

Ho perso la chiave


An Artist of Transcendental Intimacy: kafkatraum.jpg

Ho varcato confini
e sconfinata in un sogno 
mi sono trovata

Io fata di stagno
tu re di montagna

Tu folle deriso
io regina del caso

Ho perduto la chiave del
sonno
e del senno

Sono fuori di me
posseduta da te
mio folle pensiero


martedì 16 luglio 2019

Sono nata a Settembre

Articolo di Angelo Cicely Mary Barker (28 g...
Quando sono nata io
le mamme erano bambine
nascondevano la bellezza
e gli anni con fazzoletti legati
dietro al collo

Quando sono nata io
le altalene dondolavano
legate agli alberi
come in tutte le stagioni

Quando sono nata io l'aria
profumava di campi arati freschi
di panni stesi al vento
di pane sfornato all'alba

Quando sono nata io era Settembre

sul ciglio delle strade tra
i rovi pungenti c'era ancora
qualche mora