TUTTE LE MIE POESIE

giovedì 14 luglio 2022

Un bacio da Maggie
















 "Bacio di carta" è il mio nuovo libro di poesia, dedicato alla poesia stessa. Tornare a  pubblicare con Babbomorto Editore, mi suscita una grande emozione. Il primo amore non si scorda mai. 

Ringrazio: Antonio Castronuovo per la fiducia e il supporto, che non sono mancati in fase di lavorazione. Mai nessun cedimento!
Edoardo Fontana che con arte e empatia  ha dato volto ai miei versi, riassumendo nel disegno di copertina e nel preludio, il significato intero del libro.
I colleghi Apostrofi per l'infinita sopportazione e l'immisurabile pazienza, che hanno per il mio esuberante dinamismo poetico.

"Ti porterò alla sorgente
dove i versi nascono dai sassi
e profumano di fiori selvatici
al risveglio"                           Maggie





giovedì 9 giugno 2022

Occhi negli occhi















 Ho seguito le mie tracce sotto gli inchini

di fili d'erba


ho rincorso il profumo di fiori senza nome

mi sono rotolata dalla cima più alta

 a valle ho raccolto le ferite


Ho bevuto acqua da un ruscello

e ho parlato con un cane


ho corteggiato una stella 

e me ne sono innamorata


in silenzio abbiamo attraversato il buio

occhi negli occhi

Amo il kebab














Di prima mattina non si pronuncia alcuna parola, e nessuno deve rivolgerti la parola. Di prima mattina non si sorride e non si fanno progetti per la giornata. Non si stira, non si mettono i panni sporchi nel cesto, non si aprono le tende, non si leggono i messaggi. Ma soprattutto di prima mattina non ci si guarda allo specchio. Lo specchio si evita fino a quando non si è truccati.

Gloria segue alla lettera tutte queste buone regole, ma commette l’azione più grave che una donna possa commettere di prima mattina. Un qualcosa che non è nemmeno consentito citare. Un’azione che può rovinare tutto il resto della giornata: si pesa.

Si pesa tutte le mattine. Infatti ha sempre un pessimo umore. Gli si annebbia la vista, odia spudoratamente tutto ciò che è commestibile e diventa insensibile alla fame nel mondo.

Tre etti in più di ieri, tre etti!

Ripete e ripete – tre etti, tre etti.

Ecco il dramma che si porterà dietro per tutta la giornata. Quando percorrerà la strada per prendere il treno: ansimerà.

Tre etti di peso in più, nella sua testa: è obesità!

Essere obesi è un vero disagio, già dalle prime azioni della giornata. Quando ti vesti:

‒ ecco il bottone dei pantaloni mi si conficca nell’ombelico e le gambe sembrano essere compresse dentro tubi cilindrici. L’anello non esce dal dito, non gira neppure, è fermo qui mezzo sbilenco e non c’è modo di fargli fare un piccolo movimento di rotazione. Il collo alto della maglia stringe addirittura al collo e pure le scarpe sembra che mi vadano strette.

Tre etti di peso possono causare danni incalcolabili. Demoliscono l’autostima e istigano al digiuno, all’autolesionismo e in alcuni casi all’omicidio, se solo qualcuno si azzarda a dire:

ma hai preso peso?

preso peso? A chi? Io non ho preso nulla a nessuno, è tutta roba mia. Purtroppo!

Non tutti sanno che quando si incontra una donna, chi essa sia, qualsiasi età abbia, per qualsiasi motivo si incontri, la prima frase da dire per aprire un dialogo, un’intesa, una collaborazione, una notte di sesso è: quanto sei dimagrita! E da lì ti si apre un mondo.

Gloria faticosamente riesce ad arrivare a lavoro. Il primo che incontra è il suo collega Roberto, personcina per bene, un docente rispettato e rispettoso, ma sempre ironico, anche un po' troppo a volte.

Fatto serata eh! Si vede non nasconderlo, sei gonfia.

Sono gonfia, oddio se ne accorto subito. Ecco lo sapevo sono stati quei quattro biscotti allo zucchero di canna. Ne ho mangiati solo quattro. Eppure hanno lasciato il segno.

Ci siamo ubriacate eh! Hai gli occhi gonfi.

Parlava degli occhi, ecco mi chiedevo: come ha fatto a notarlo subito? Ho messo una maglia di mia madre XXXL che mi arriva alle ginocchia, per coprire il grasso in eccesso.

Entro in classe, è tutto come sempre: i ragazzi non si accorgono, ne di me ne che sono ingrassata, sono tutti presi dai cellulari, che hanno tra le mani (e non potrebbero.) Richiamo l’attenzione con un buongiorno carico di timbro e volume. I cellulari spariscono, i ragazzi si ricompongono con calma, ognuno nel suo posto.

Il vocio non si placa:

‒ ehi fra visto la prof che maglia vintage che ha?

Si bro l’ho vista!

Mah vezz sembra mia nonna vestita da sfatta.

C’è un brusio fastidioso e insistente

chissà cosa avranno da dirsi quei tre laggiù in fondo. Li richiamo, li minaccio, gli metto una nota.

è una bummer fra!

Ci ha schicciati!

Finalmente inizio la lezione, si sono tacitati e fingono di ascoltare la lezione. Quando suona la ricreazione sono già tutti in fermento, e io so perché. Rientrano in classe pieni di ogni schifezza possibile. Svuotano i distributori e arrivano carichi di Duplo e Fieste e patatine e tramezzini e biscotti cioccolatosi. Sembra che debba scoppiare una guerra e hanno paura di rimanere senza provviste.

Io non mangio, ho la nausea. Sono obesa. Esco velocemente, appena finita l’ultima ora, preferisco non incontrare nessuno. Passo dall’uscita secondaria, dopo aver appoggiato la mia roba nella sala insegnanti a testa bassa. Faccio il giro lungo per andare a prendere il treno. Attraverso il ponte, arrivo sotto ai portici, salgo al parco, scendo le scalinate percorro il viale, attraverso al semaforo e mi ritrovo di fronte alla stazione. Controllo i passi ne ho fatto 3550 contro gli 8000 che dovrei fare. Oggi salto il pranzo, salto la merenda e forse salto anche la cena. Salto, per schivare lo zaino di un ragazzo seduto a terra e cado miserabilmente sul marciapiedi del binario numero 9.

Batto la testa, ne sento il rumore. Sento anche l’annuncio che sta arrivando il mio treno, cerco di alzarmi, non ci riesco. Un ragazzo, dall’apparenza non del posto mi aiuta, è gentile e garbato, mi raccoglie la borsa e mi chiede come sto:

como svate signiore? Vi ho fare male voi?

È peggio del linguaggio dei ragazzi di scuola, quasi incomprensibile.

sto bene, grazie. Lo rassicuro.

Intanto, a terra, dal lato del mio piede, vedo una, due e più gocce di sangue.

la sangue! ‒ grida il ragazzo.

Infatti è sangue, il mio sangue, scorre dal ginocchio. Mi guardo e vedo un buco nei pantaloni. Molto probabilmente c’è una ferita al ginocchio. Mi siedo su una panchina, che mi libera una signora distinta e gentile, e pure magra. Questo mi fa un po' rabbia, mi acciglio, è per il dolore, lo faccio intendere a tutti. C’è un signore con il bastone, due ragazzi con un skait bool e un uomo tutto impettito con giacca e cravatta, anche lui magro. Apro la borsa, tiro fuori i fazzoletti, alzo i pantaloni e mi asciugo. Intanto il ragazzo straniero non mi molla, osserva ogni mia azione. La signora invece si è allontanata, i ragazzi si rollano una sigaretta, il signore con la cravatta parla al telefono. Il treno, successivo non arriva, eppure era stato annunciato. Provo ad alzarmi e a fare due passi per sentire quanto male ho, adesso sento male anche alla testa, mi porto la mano appena sulla fronte a destra tra i capelli e noto che ho un bel bernoccolo. La gamba mi fa troppo male, non riesco a stare in piedi. Mi risiedo sulla panchina, arriva il treno. Sale la signora, salgono i due ragazzi, sale il signore impettito. Io non salgo, Hassen non sale.

Al pronto soccorso mi chiedono se è mio figlio? C’è gente daltonica in giro. Io sono bionda, carnagione chiara e occhi azzurri. Hassen ha i capelli neri, la pelle nero chiaro, e gli occhi neri. Poi se apre la bocca...meglio che la tenga chiusa.

Mi danno alcuni punti di sutura e una fasciatura stretta, un controllo dopo una settimana e sette giorni di antibiotico.

Io sono seduta sulla panchina stavolta al binario numero 6, Hassen è di fianco a me. È stato con me tutto il pomeriggio. Io sto meglio, in ospedale mi hanno dato un antidolorifico potente. Appena l’ho preso non ho sentito più nessun dolore, ho sentito solo una gran fame. Ma a questo ci ha pensato Hassen, abbiamo due kebab in mano, che sbottavano di ogni cosa, peseranno più di tre etti. Li divoriamo su un binario deserto, in una quasi notte di fine inverno. Uno più affamato dell’altro.

Ma tu dove stavi andando Hassen?

io no prede treno. Io arriva da città altra.

Lo guardavo mentre mangia, è magrissimo, è vestito poveramente, ha un paio di scarpe consumate, uno zaino con una marca pubblicitaria e un sorriso bellissimo. Do un altro morso al kebab, mastico lentamente, assaporo la generosità e prendo lezioni di vita.






mercoledì 8 giugno 2022

Quel mondo è la tua mano

















Ti amo con gli occhi chiusi, bendati, sull’orlo di un abisso, con il mondo nella mia mano. Quel mondo è la tua mano”.

È bello addormentarsi con versi che girano nella testa. Stasera me l’ha declamata lui. Da quando è in carrozzina, recita facendo girotondi al centro del salone. Non so se dopo questa poesie ne abbia scritto altre. Il mio poeta dorme già, qui di fianco a me, domani glielo chiederò. Io la mia copia l’ho gettata, era diventata illeggibile, ma i versi li so a memoria.

Nella mia mano c’era un foglio stropicciato, l’inchiostro si era sbiadito e la carta assottigliata. Le parole nonostante fossero consumate dal tempo, facevano rumore come le campane nei giorni di festa. Avevo parcheggiato la macchina e mi ero incamminata, per cercare un luogo che non conoscevo, che fosse lontano da me stessa. Avrei voluto che in mezzo al niente fosse comparsa un’orchestra o dei suonatori di zampogne. Avrei voluto incontrare un gruppo di gitani che danzassero scalzi, sulle note dei loro canti popolari. Avrei voluto sentire musica e rumore, e ballare con gente inebriata di vino e di vita. E poi avrei voluto salire su di una giostra che mai si fosse fermata, e aspettare che magicamente un cavallo diventasse vero. Per poi attraversare il bosco prima che fosse giorno. Ma solo silenzio e buio mi incorniciavano, e qualche stella sfuggita al cielo scuro, che annunciava pioggia e notte fonda a breve.

- Lele portami via!

Lo imploravo, senza voce e senza lacrime. Il mio volto era di ghiaccio, gli occhi del colore del vuoto e le labbra asciutte.

- Lele portami via!

Giro girotondo casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra. Io cadevo sempre addosso a Lele. Lele di questo ne era felice. Si giocava, poi ci si dimenticava di aver giocato e diventava tutto vero.

Quando Lele mi baciò, per la prima volta, pensai a un lecca lecca gigante a forma di girandola dal sapore dolcissimo. Quando ci sposammo, io avevo le scarpe basse e Lele le bretelle.

Quando avemmo l’incidente, io mi svegliai piena di ematomi, Lele non si svegliò. Lele dorme ancora.

Tornai alla macchina, sui miei passi e sui miei anni. La notte era troppo crudele per onorarla e per un attimo pensai al giorno: il giorno dopo. I sogni, da qualche tempo mi erano stati proibiti, e anche quella notte non sognai.

Il telefono squilló verso le due di notte, il mio sonno era leggero e risposi al secondo squillo.

- Si è svegliato.

Quando siamo sul lungo mare io spingo la carrozzina e Lele canticchia. Abbiamo preso un cane che ci segue, appunto come un cane. Io ho tagliato i capelli e Lele si è fatto crescere la barba.

Lui ama farmi il solletico nel palmo delle mani, io amo baciarlo tra il naso e il labbro superiore.

Io mi sono un pò ingrassata, sono incinta di cinque mesi, il cane è un po' geloso. Possibile che i cani si accorgano di una presenza invisibile?

In TV c’è un bel film, Lele mi fa il solletico e io rido e ritraggo la mano. Sento dei calcetti nella pancia, il bimbo è sveglio, il cane dorme. Lele ha un foglio tra le mani, l’inchiostro è ancora vivo e la carta lucida, fa finta di leggerlo, ma anche lui sa a memoria cosa c’è scritto.

Quando lo scrivemmo eravamo in nessun posto e ovunque. Io scrissi la mia copia e la diedi a lui, lui scrisse la sua copia e la diede a me, dopo che insieme lo avevamo composto.

Non era una promessa, ma solo quello che sentivamo di dirci allora, ed è quello che sentiamo di dirci adesso, mentre il destino ha provato a renderci diversi.

1

Ti amo con gli occhi chiusi, bendati, sull’orlo di un abisso, con il mondo nella mia mano. Quel mondo è la tua mano”.




giovedì 26 maggio 2022

Salvo la mia penna
















Mi arrendo

con le braccia piegate

dietro al collo

anche io ho la pelle

strappata dalla carne

ma sono ancora viva


Mi arrendo

al cielo nel suo pianto

il vento rovescia l’anima

e non c’è silenzio

disposto a fermare

la tempesta


Mi arrendo

ai piedi dell’innocenza

salvo la mia penna

che nel dolore

non vale niente

oppure vale tanto

Figlia della vita

 












Mi hai svelato il segreto di figlia

ora tra le tue braccia

lascio i miei gemiti


al risveglio sono certa

mi darai linfa da bere

e pane fresco per cena


Assaporo il sangue dolce

che un tempo passato

mi hai versato addosso


ora quel colore vermiglio

è sulle tue labbra

in un bacio sulla fronte

prima della buona notte




































Siamo

 















Siamo un punto nel vuoto lontano dal centro

che con rabbia cerchiamo da sempre

siamo senza l’andata

senza sosta e ritorno

siamo noi gli aquiloni sospesi nel cielo

che il vento trascina aggrappati

alle deboli corde

di un giorno che stenta a finire


Siamo nel vuoto del nulla

dentro lo smarrimento

dell’animo leso

e solo la voce di una muta speranza

ci aiuta a capire


Siamo l’eco costante di noi

siamo il mistero dei nostri respiri

il riflesso dei nostri silenzi

dove l’anima danza nel precipizio del tempo

senza ore né giorni


Bruciano gli orologi e i calendari nel fuoco dell’attesa

e noi siamo le scintille

testimoni di quel tempo senza tempo


stringiamo tra le mani i nostri sogni accartocciati

quelli non li abbiamo mai gettati

mai gettati





Petali di carta

 











L’umore del cielo si guasta

i fiori arrugginiti tremano

sul bordo di un sorriso


La notte imbriglia il sogno

il buio corteggia la solitudine

che inquieta slega parole.


Soffi d’anima scrivono

poesie su petali di carta

nel pianto dell’inchiostro


L’amore prosegue verso luoghi

dove la ragione è sfocata

seguendo il profumo di rose sorgive.