TUTTE LE MIE POESIE

mercoledì 16 ottobre 2019









Ha preso domicilio a casa mia. Residenza no, figurati: è un uccel di bosco. Viene quando vuole!

Niente affitto, cibo gratis... belle vedute... ma non apprezza, il giovincello e frigna. Stamane ha cominciato a strillazzare dalle cinque, e m’ha svegliata: colpa sua se ho mal di testa. Però, essere svegliata da un uccello... non male... è così melodico!

Me-lo-dico tutte le notti... ME LO DICO e basta!

Sembra facile, appena svegli, pensare di arrivare dal letto al distributore del caffè, del secondo caffè dato che il primo non serve a gran che: è il secondo che risolve ogni situazione.

La macchinetta del secondo caffè è situata di fianco alla porta dell’ufficio del vice-direttore.

Non è vicina ma ci si arriva... basta mollare lo specchio del bagno (inutile fissarlo, è troppo sincero, ti rovina la giornata se continui a fissarlo), scendere in garage, aspettare verde a tre semafori, percorrere una deviazione, salire le scale e... finalmente sei lì di fronte a lei, imponente e maestosa, zeppa di merendine, latte, the, succhi di ogni genere: mirtillo, agrumi e ogni ben di dieta per impiegate in carne. È in quel preciso istante che ti viene in mente l’uccello sotto forma di mal di testa!

Prendo una compressa, ho mal di testa, la prendo con il caffè... che fa dilatare i vasi sanguigni e fa più veloce l’assorbimento... poi bere caffè fa bene, mi ricordo di un articolo che ho letto sul giornale, dal dentista; no dalla parrucchiera... forse era la pagina dove era avvolta la zuccheriera di ceramica; Kaled, il tipo del mercatino dell’usato, ha solo giornali interessanti, che usa per avvolgere la merce, che ritiene preziosa e incarta ben benino, come il piadinaro quando t’accartoccia in carta oliata la piadina fumante appena fatta dalle sue mani.

L’articolo ricordava che secondo uno studio della Harvard School of Public Health (in neretto il nome della scuola, importante dunque, senza dubbio, sennò mica lo mettevano in neretto), secondo uno studio della famosa School britannica, bere caffè riduce di almeno il 50% la propensione al suicidio. Non credo di aver mai pensato a suicidarmi, se non nel frattempo che intercorre tra dormire ed essere svegliata da un uccello di merda. MERDA: che enorme offesa per gli uccelli appioppargli l’aggettivo.

MERDA! Un uccello m’ha cacato sulla bella camicia bianca... Tre secondi di panico e poi mi metto a correre (che ridi? correresti pure tu, correremmo tutti) con un sorriso speranzoso sulle labbra. Corriamo a comprare un gratta e vinci, giochiamo al lotto, guardiamo per terra se mai ci fosse un portafogli gonfio di banconote e senza documenti. No perché, se ci sono i documenti, non si può prendere il danaro. Siamo troppo onesti per farlo, tutti, quasi tutti... alcuni... IO. Nessuna vincita, nessuna buona combinazione, nessun portafoglio abbandonato: e allora che cappero voleva quell’uccello? proprio sulla mia camicia doveva scaricare merda detta fortunata? La dea bendata che si camuffa da cacca?... Ma dai, vai lavorare che almeno lo stipendio – dopo aver incontrato i 40 ladroni; 40? forse qualcuno in più – te lo versano sul conto e fidati: una piccola parte è tua.

Ora posso finalmente prenotare la vacanza. Vacanza è troppo: posso prenotare un giorno di vacanza alle cascate. Una vacanza accessibile: metano per il viaggio tre euro circa, panino al chiosco due euro solo con prosciutto, tre euro se farcito, l’acqua me la porto da casa: non sarà ben fresca ma me la faccio andare bene. Le cascate sono gratis, il fiume è gratis, l’acqua è ancora gratis – che sia dolce oppur salata.

Non va bevuta però! Quella da bere si paga.

Al distributore ho il bicchierino di plastica in mano, pieno a metà, il caffè è liofilizzato, schifoso, sogno un sega-fredo... «Questo non è un caffè, proprio no», confermo dopo essermi riempita la bocca per mandar giù la compressa, «è come la sega-tura in confronto a un tronco».

La bianca compressa scivola lenta, non le aggrada scendere col caffè nero. «Mi hanno sempre detto che avrei viaggiato su acque limpide». Ma intanto va e segue la corrente. Dal faringe, lungo l’esofago, fino allo stomaco, sballottata e un po’ impacciata: «Permesso, scusate, non avrei nemmeno voluto sfiorare le vostre graziose pareti viscide, ma devo salvare un cervello devastato, racchiuso nella testa, sotto una chioma di capelli biondi, per la precisione biondi ossigenati, perché di bionde naturali non ce ne sono più».

Atterro nello stomaco, sono ancora una compressa bella tonda, solo scheggiata in alcuni punti; il mio bianco spicca su di un mare scuro, qua e là qualche relitto, che naviga su acque sporche, poi sparisco tra le contrazioni di muscoli, sembrano scogli morbidi che risucchiano pezzetti di wurstel (parenti dell’insalata di riso della sera prima). Ancorata ad una piega gastrica mi chiedo: «Che ci faccio qua? io tutta bianca, mi sento discriminata. Non voglio sciogliermi, in questa ciofeca di caffè!».

Non mi sciolgo nemmeno quando l’onda del caffè quasi mi catapulta nel duodeno. Passa la contrazione, s’abbassa l’onda, ritorna un po’ di quiete. Rimetto la scatoletta della compresse in borsa; erano rimaste sul tavolo di fianco al distributore del caffè. E sento il canto dell’uccello.

Una marea, un’alta marea. Il mare nero s’alza, s’alza. Un rumore mi fa sussultare lo stomaco; anche gli altri visceri sobbalzano, sopra e sotto. La milza resta ferma sotto le costole, poi si libera e dondola viscida. È un organo viscido la milza!

«È un attentato!» penso, aggrappata all’ultimo pezzetto di wurstel che naviga con me, senza alcuna speranza di riuscire a salvarci. Non mi resta che sciogliermi, umiliata nel caffè liofilizzato.

Se non mi mandava giù con il caffè a quest’ora sarebbe ancora in posizione verticale e non a terra senza sensi... senza senso... ma stretta tra le braccia del vice direttore.

«Signorina...!». Quelle labbra fingono di soffiare ossigeno, e invece stanno pompando passione.

«È morta!».

«È morta?».

Morta o no, se non fosse stato per quell’uccello mica sarei qui col vice-direttore.

Qui, alle cascate del Niagara, c’è tanta umidità.

Passo e chiudo la tendina. Ho da fare!




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