TUTTE LE MIE POESIE

giovedì 24 ottobre 2019

Figli rifiutati





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Piange la libertà
quando muore il rispetto

Al capezzale l'uguaglianza
si sente inutile

La compassione profuma d'incenso
fugge da una gabbia d'ottone

Risorge sulla pelle
di un colore diverso

Il rispetto fa festa
riempie bicchieri di pace

e brinda ai figli rifiutati

martedì 22 ottobre 2019

Vita inventata

Risultati immagini per christian schloe

Aspetto che cada
la foglia arrugginita d'autunno
sospesa sul ramo di nero corallo
e si vada a coprire di neve

leggermente montata

Aspetto che cada
il pensiero aggrappato alla notte
sospeso su un tratto di filo spinato
e si vada a coprire di vita

leggermente inventata


Viole


Risultati immagini per viole dipinto




















Gli occhi stringono il gelo
I passi tengono il velo al dolore
nella marcia nuziale
tra la vita e la morte

Cadono lacrime e confetti dal cielo
su sentieri coperti da fango
e da fiori nascosti

Il cuore pulsa al richiamo d’amore
in attesa del profumo di viole

Verdurock















Il microfono del centro commerciale aveva annunciato che i negozi stavano chiudendo. Le due ragazze alla cassa compilavano i moduli ripetendo ad alta voce. Una era impacciata, l'altra era arrogante.
La musica si abbassò di colpo e le luci si spensero.
Io ero chiusa nel camerino, incastrata in un vestito nero di due taglie più piccole della mia. Spostai la tenda e mi accorsi che la spia dell'allarme puntava dritto a me, così riabbassai velocemente. Cercai il cellulare in borsa. Si era spento, era scarico già dal pomeriggio! Mi sedetti sullo sgabello e mi guardai allo specchio in attesa di un'idea. La più semplice era quella di uscire e di far suonare l'allarme, ma immaginai di fronte a me due poliziotti che tentavano di sfilarmi il vestito e che mi obbligavano a salire su di una bilancia per rendermi consapevole del mio peso! 
Rimasi in silenzio e la visione sparì. La luce di emergenza era fioca, lo spogliatoio era piccolo e lo specchio pieno di ditate. Quell'arrogante della commessa avrebbe potuto pulirlo!
Guardai l'orologio, avevo fame erano le ore ventidue. Frugai nella borsa e trovai delle caramelle alla menta, dei cioccolatini e un pacchetto di patatine. Nella mia borsa c'era sempre qualcosa da mangiare. Sarei stata prigioniera fino alle ventidue del giorno dopo: dodici ore di prigionia con un vestito nero addosso! 

Appoggiata alla parete della cabina chiusi gli occhi, sentii una musica che arrivava da lontano, assomigliava ad una musica da balera.
Percorsi un sentiero alberato, camminando sull'erba bagnata, ed ecco mi apparve una band che suonava.
Sul palco un cartellone "La Verdurock". Vidi carote che battevano colpi sulla batteria, ravanelli che rimbalzavano sul pianoforte, lunghe melanzane che danzavano abbracciate ad esili zucchine e alcuni finocchi con capelli rosa che cantavano con voce sottile!
Mi avvicinai, volevo sedermi tra i primi posti ma era tutto pieno.
I bomboloni al cioccolato avevano invaso il pubblico con striscioni di protesta "No alla Verdurock".
Mentre le verdure agili saltavano e cantavano, i bomboloni sbadigliavano appesantiti dalla crema al cioccolato. In un angolo un hamburger tentava di farsi notare, improvvisando un salto acrobatico.
"Scusi si può spostare?" Disse un asparago rivolgendosi a me.
"Mi sta chiudendo il passaggio, devo andare in scena!
Ma cosa sei un ammasso di liquirizia o una balena di cioccolato fondente?"
Chiese ridendo. Fu in quel momento che mi svegliai. Con forza mi sfilai il vestito, la cerniera cedette e le cuciture si allentarono.

Alcuni mesi dopo scesi dalla bilancia e la dietologa mi guardò soddisfatta. La ragazza arrogante del negozio era stata licenziata, il nuovo commesso, elegante nei modi, mi allungò un tubino taglia 44, lo indossai e uscii dal camerino per farmi ammirare, danzando al centro del negozio. Sorrisi ripensando a quel sogno. Quando mi avvicinai alla cassa per pagare, il giovane mi guardò ed io lo guardai. Un attimo lungo, poi mi porse il bancomat e lo scontrino. Lo strinsi in mano e quando lo aprii, vidi che tra il bancomat e lo scontrino c'era un bigliettino piegato, con su scritto
"Sei proprio una bella patata!"

Non era poi così elegante il ragazzotto!











venerdì 18 ottobre 2019

Salto nel vuoto

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Vuoto il pendio
son caduti gli eroi

Solo muschio sui sassi
in assenza di passi

Un guerriero
uno solo è rimasto

in cima alla roccia
Scruta il cielo deserto
con lo sguardo nascosto

Un salto nel vuoto
fa tremare la terra


Era il figlio dei sogni
tradito dal vento

giovedì 17 ottobre 2019

Flidais





“madonna” (30x40cm watercolour on paper)


Lui si sistemò di fianco a lei, i loro corpi a quel punto si toccarono, attraverso la spalla e il braccio. Si girò e lo guardò con occhi persi, persi come lei in quella notte di pioggia.

"Ascolta...
Era una tiepida mattina di primavera. Un soldato etrusco camminava irrequieto sulle sponde di un fiume, si era allontanato dall'accampamento perché voleva stare da solo. Lo scrosciare dell'acqua e il canto degli uccelli davano un po' di pace al suo cuore e, in attesa della battaglia, portavano via la paura. Improvvisamente udì un fruscio e per istinto si nascose dietro ad un cespuglio, immobile. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi, si sporse piano. Quella che vide fu una creatura meravigliosa, la più bella che avesse mai visto nella sua vita. Doveva appartenere alla tribù vicina, pensò incapace di ritrarsi. Lei non lo vide e si fermò a guardare il fiume dandogli le spalle, poi con un movimento delicato si sfilò i pochi vestiti che coprivano il suo corpo e rimase nuda. Aveva le gambe toniche e capelli biondi lunghi e fluenti che le scendevano lungo la schiena. Lo sguardo del soldato la seguì, lei piano accarezzò l'acqua con il palmo delle mani, poi si immerse fondendosi con essa e con i primi raggi del sole. Il soldato continuò ad osservare senza fiato e senza parole quella creatura che si era materializzata davanti ai suoi occhi, come fosse una dea. Finalmente lei si girò e i loro sguardi si incrociarono. Lui titubante si avvicinò alla sponda del fiume, lei nuotò lentamente verso la riva. Sarebbe fuggita veloce, come sempre davanti ad un pericolo. Non scappò, rimase in quello sguardo dove le sembrò che la sua anima fosse già stata. Lei era una celtica, non poteva assecondare quelle sensazioni, eppure quanto stava bene immersa in quegli occhi. Lei uscì dall'acqua e si chinò a raccogliere il vestito, lo indossò e fece per avvicinarsi a lui, quando sentì un dolore forte al piede nudo.
"Ti ha morsa quel serpente!" Urlò il soldato.
"Dobbiamo estrarre il veleno, potresti morire!" Si chinò, le strinse il piede tra le mani e succhiò il veleno dalla ferita.
"Mi aiuti?!" Si sorprese lei. " Eppure dovremmo essere nemici naturali io e te."
"Vuoi combattermi?" Le chiese il soldato. Lei esitò e fece per andare.
"Aspetta...vorrei vederti ancora." La supplicò.
"No! Il tuo esercito attaccherà il mio villaggio tra pochi giorni." Rispose lei. Poi, senza far riemergere i suoi occhi da quelli del soldato, si portò le mani dietro al collo, slacciò una collana e gliela porse.
"Vorrei che lo tenessi tu, e se qualcuno ti chiederà spiegazioni..."
"La terrà nascosto!" La interruppe lui. "Sotto la camicia, sul mio petto". Stringendo con una mano il ciondolo che la finiva.
"Ma ti prego, domani torna."
Lei si voltò e velocemente scomparve tra il verde della collina. Lui rimase a guardare verso il bosco, riusciva a sentire la sensazione di lei anche senza vederla.

La ragazza celtica, sapeva che sarebbe stato pericoloso, ma come avrebbe potuto pensare di non andare... una forza nuova e misteriosa la spingeva, sembrava che niente contasse di più.
I passi leggeri nella penombra di quel mattino, quando il sole ancora non faceva il suo ingresso, la condussero. Attraversò il bosco, senza paura. Il vestito si impiglio più volte, ma lei correva, senza curandosi di strapparlo. Puntava dritta al fiume, senza voltarsi. Risalì la collina, scivolò più volte, cadde a terra e sentì la rugiada bagnarle le gambe. Quando fu in cima bastò lasciarsi andare in quella discesa, aprì la braccia e corse verso il fiume. Gli sembrò di volare, perdendo il contatto con il suolo. Era lì il suo soldato, appoggiato al pioppo che dominava quella sponda del fiume. Avvertì i suoi passi e lo spostamento dell'aria e di scatto alzò la testa. Senza respiro lui la guardò. Lei lo guardò senza respirare. Poi tutto intorno si fermò. Due universi uno di fronte all'altro, e loro due pronti a varcare quel confine. Rimasero in silenzio, mentre gli occhi permisero loro di spaziare uno dentro il mondo dell'altro. Avrebbero potuto stare in quello stallo magico per giorni, ma i corpi, anch'essi, si cercarono. Il soldato si avvicinò, poggiò le labbra su quelle della ragazza, fu un bacio interminabile. Le sue braccia forti la stringevano i corpi furono tutt'uno con la loro anima. Una sensazione che nessuno dei due aveva mai provato prima. Il tappeto verde li accolse nudi, nel silenzio di quell'incanto che assomigliava al paradiso.
Le loro anime si fusero in un orgasmo spirituale che li portò in luoghi sconosciuti dove la realtà non esisteva.
E così tutte le mattine si allontanava, i suoi passi appena fuori dal villaggio diventavano più veloci. Nessuna paura la bloccava, quando andava verso il suo soldato non temeva nulla. Era come se tutto fosse al di sotto di quello che provava. Cosa provava? Non era facile da chiamare con un nome, qualcosa che non aveva mai provato prima. Da un istinto irrefrenabile ad una passione tenera, da un'intesa che attraversava gli sguardi ad un legame che univa due spiriti. La sensazione che fosse legata al suo respiro anche quando non erano vicini e poi l'assenza di paura. L'assenza di paura era lo stato d'animo che la portava a pensare che quello fosse l' AMORE VERO.

Un giorno la ragazza, mentre andava dal suo soldato, sentì un rumore, si voltò, ma non vide nessuno. Si fermò un attimo e un lieve venticello portò via il timore che qualcuno la stesse seguendo.Quando fu tra le braccia del suo soldato fu presto mattina.

Il sole fu l'unico testimone.

Non arrivarono con cavalli e scudi, né con corazze di metallo. Solo due lame luccicarono, lunghe e affilate, su di esse vi erano raffigurati due falchi che per la ferocia incutevano terrore.
Non ebbero il tempo di aver paura.
Le spade li colsero in un abbraccio. Sarebbe bastata una sola lama per trafiggere i loro corpi, tanto stretti da sembrare un corpo solo.
Senza parole, senza grida, si trovarono al di là della sponda del fiume, del loro fiume. Due corpi acerbi giacevano sull'erba fresca in un giorno appena nato. Un ciondolo rimasto impigliato ad un piccolo arbusto dondolava lentamente. I corpi, cadendo, si erano staccati, ma la mano di lui stringeva la mano di lei in una morsa che neppure la morte era riuscita a staccare.






mercoledì 16 ottobre 2019









Ha preso domicilio a casa mia. Residenza no, figurati: è un uccel di bosco. Viene quando vuole!

Niente affitto, cibo gratis... belle vedute... ma non apprezza, il giovincello e frigna. Stamane ha cominciato a strillazzare dalle cinque, e m’ha svegliata: colpa sua se ho mal di testa. Però, essere svegliata da un uccello... non male... è così melodico!

Me-lo-dico tutte le notti... ME LO DICO e basta!

Sembra facile, appena svegli, pensare di arrivare dal letto al distributore del caffè, del secondo caffè dato che il primo non serve a gran che: è il secondo che risolve ogni situazione.

La macchinetta del secondo caffè è situata di fianco alla porta dell’ufficio del vice-direttore.

Non è vicina ma ci si arriva... basta mollare lo specchio del bagno (inutile fissarlo, è troppo sincero, ti rovina la giornata se continui a fissarlo), scendere in garage, aspettare verde a tre semafori, percorrere una deviazione, salire le scale e... finalmente sei lì di fronte a lei, imponente e maestosa, zeppa di merendine, latte, the, succhi di ogni genere: mirtillo, agrumi e ogni ben di dieta per impiegate in carne. È in quel preciso istante che ti viene in mente l’uccello sotto forma di mal di testa!

Prendo una compressa, ho mal di testa, la prendo con il caffè... che fa dilatare i vasi sanguigni e fa più veloce l’assorbimento... poi bere caffè fa bene, mi ricordo di un articolo che ho letto sul giornale, dal dentista; no dalla parrucchiera... forse era la pagina dove era avvolta la zuccheriera di ceramica; Kaled, il tipo del mercatino dell’usato, ha solo giornali interessanti, che usa per avvolgere la merce, che ritiene preziosa e incarta ben benino, come il piadinaro quando t’accartoccia in carta oliata la piadina fumante appena fatta dalle sue mani.

L’articolo ricordava che secondo uno studio della Harvard School of Public Health (in neretto il nome della scuola, importante dunque, senza dubbio, sennò mica lo mettevano in neretto), secondo uno studio della famosa School britannica, bere caffè riduce di almeno il 50% la propensione al suicidio. Non credo di aver mai pensato a suicidarmi, se non nel frattempo che intercorre tra dormire ed essere svegliata da un uccello di merda. MERDA: che enorme offesa per gli uccelli appioppargli l’aggettivo.

MERDA! Un uccello m’ha cacato sulla bella camicia bianca... Tre secondi di panico e poi mi metto a correre (che ridi? correresti pure tu, correremmo tutti) con un sorriso speranzoso sulle labbra. Corriamo a comprare un gratta e vinci, giochiamo al lotto, guardiamo per terra se mai ci fosse un portafogli gonfio di banconote e senza documenti. No perché, se ci sono i documenti, non si può prendere il danaro. Siamo troppo onesti per farlo, tutti, quasi tutti... alcuni... IO. Nessuna vincita, nessuna buona combinazione, nessun portafoglio abbandonato: e allora che cappero voleva quell’uccello? proprio sulla mia camicia doveva scaricare merda detta fortunata? La dea bendata che si camuffa da cacca?... Ma dai, vai lavorare che almeno lo stipendio – dopo aver incontrato i 40 ladroni; 40? forse qualcuno in più – te lo versano sul conto e fidati: una piccola parte è tua.

Ora posso finalmente prenotare la vacanza. Vacanza è troppo: posso prenotare un giorno di vacanza alle cascate. Una vacanza accessibile: metano per il viaggio tre euro circa, panino al chiosco due euro solo con prosciutto, tre euro se farcito, l’acqua me la porto da casa: non sarà ben fresca ma me la faccio andare bene. Le cascate sono gratis, il fiume è gratis, l’acqua è ancora gratis – che sia dolce oppur salata.

Non va bevuta però! Quella da bere si paga.

Al distributore ho il bicchierino di plastica in mano, pieno a metà, il caffè è liofilizzato, schifoso, sogno un sega-fredo... «Questo non è un caffè, proprio no», confermo dopo essermi riempita la bocca per mandar giù la compressa, «è come la sega-tura in confronto a un tronco».

La bianca compressa scivola lenta, non le aggrada scendere col caffè nero. «Mi hanno sempre detto che avrei viaggiato su acque limpide». Ma intanto va e segue la corrente. Dal faringe, lungo l’esofago, fino allo stomaco, sballottata e un po’ impacciata: «Permesso, scusate, non avrei nemmeno voluto sfiorare le vostre graziose pareti viscide, ma devo salvare un cervello devastato, racchiuso nella testa, sotto una chioma di capelli biondi, per la precisione biondi ossigenati, perché di bionde naturali non ce ne sono più».

Atterro nello stomaco, sono ancora una compressa bella tonda, solo scheggiata in alcuni punti; il mio bianco spicca su di un mare scuro, qua e là qualche relitto, che naviga su acque sporche, poi sparisco tra le contrazioni di muscoli, sembrano scogli morbidi che risucchiano pezzetti di wurstel (parenti dell’insalata di riso della sera prima). Ancorata ad una piega gastrica mi chiedo: «Che ci faccio qua? io tutta bianca, mi sento discriminata. Non voglio sciogliermi, in questa ciofeca di caffè!».

Non mi sciolgo nemmeno quando l’onda del caffè quasi mi catapulta nel duodeno. Passa la contrazione, s’abbassa l’onda, ritorna un po’ di quiete. Rimetto la scatoletta della compresse in borsa; erano rimaste sul tavolo di fianco al distributore del caffè. E sento il canto dell’uccello.

Una marea, un’alta marea. Il mare nero s’alza, s’alza. Un rumore mi fa sussultare lo stomaco; anche gli altri visceri sobbalzano, sopra e sotto. La milza resta ferma sotto le costole, poi si libera e dondola viscida. È un organo viscido la milza!

«È un attentato!» penso, aggrappata all’ultimo pezzetto di wurstel che naviga con me, senza alcuna speranza di riuscire a salvarci. Non mi resta che sciogliermi, umiliata nel caffè liofilizzato.

Se non mi mandava giù con il caffè a quest’ora sarebbe ancora in posizione verticale e non a terra senza sensi... senza senso... ma stretta tra le braccia del vice direttore.

«Signorina...!». Quelle labbra fingono di soffiare ossigeno, e invece stanno pompando passione.

«È morta!».

«È morta?».

Morta o no, se non fosse stato per quell’uccello mica sarei qui col vice-direttore.

Qui, alle cascate del Niagara, c’è tanta umidità.

Passo e chiudo la tendina. Ho da fare!




martedì 8 ottobre 2019

Posati autunno



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Posati autunno
sulle foglie strappate dal vento

Sul viale vuoto al tramonto
e sui cuori che pregano stanchi

Posati autunno
sulle rughe dei giorni e del tempo

Posati sulle mattine senza alba
e sugli occhi che scrutano il cielo

senza brividi dentro

sabato 5 ottobre 2019

Assenza



ilclanmariapia: André Kohn

I giorni s'imbevono di te
e della tua assenza
Dinnanzi al tuo non esserci
accarezzo il ricordo
e siamo di nuovo protagonisti
del non essere stati noi
Giunge a me un richiamo
d'amore
Amo la notte
e il silenzio
Come fossimo noi due
uno accanto all'altro
a contare i pianeti
che piano scompaiono
nei miei occhi

mercoledì 2 ottobre 2019

Legati

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I lembi stropicciati della gonna
nascondono i passi
Piango la strada
gli alberi
e te
Ascolto il silenzio
ai piedi delle parole
Il dolore ha gli occhi grandi
mi fissa come fosse un gatto
Uno sguardo complice
che lega l'assenza