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domenica 11 agosto 2019

Il cane di tutti


Risultati immagini per cane dipinto in mezzo alla gente













Ei fu.


Siccome immobile,


dato il mortal sospiro,


stette la spoglia


immemore orba


di tanto spiro...”



Era il 5 maggio, nei versi di Manzoni… Era il 5 maggio quando morì Peppino, un cittadino onorario di un piccolo paese di montagna.
Peppino non era un vagabondo ma non aveva fissa dimora e, in quindici anni di permanenza nel piccolo paesello, non aveva un posto fisso, né per mangiare e neppure per dormire.
Si racconta, in paese, che un cucciolo nero di razza meticcia, nella primavera di
alcuni anni prima, si aggirava per i vicoli del paese: nessuno aveva mai saputo come fosse
capitato lì.
- E’ scappato dai suoi padroni - diceva qualcuno;
- Si sarà perso!- replicava qualcun altro;
- Lo hanno abbandonato- affermavano altri ancora.
Fatto sta che Peppino, il cane senza residenza, conquistò la simpatia di 
tutti, in poco tempo.
In piazza, da cucciolo, era il gioco dei bambini che lo strattonavano qua e là come
fosse un pupazzo; poi, da pupazzo, crescendo, divenne il custode dei bambini, infatti badava a loro quando giocavano, mentre le mamme chiacchieravano con le comari.
All’ora di pranzo, l’anziana signora o il fornaio, la sarta o l’ufficiale di posta gli davano da mangiare. Durante la notte, trovava riparo in una delle tante case del paese, mai la stessa: era ospite di tutti ma nessuno lo faceva sentire un ospite.
Dopo qualche tempo, Peppino, grassoccio e con il pelo lucido nero, era diventato uno del posto, si era ambientato e affezionato a quella gente semplice, che tanto lo amava e che lo aveva accolto nella sua comunità, considerandolo uno di loro.

- La banda è arrivata! - urlavano i bambini, entusiasti di sentire trombe e tamburi suonare in giro per il paesello. Era la festa del patrono.
Il parroco radunava i giovanotti più muscolosi del paese che, nella processione, avrebbero portato a spalla la statua. Le donne svelte, chiamavano i bambini dentro casa:
- Inizia la festa venite a cambiarvi! -.
Quando tutto era pronto, si partiva in corteo: in prima fila i chierichetti portavano
le statue degli angeli, qualcuno di loro era distratto e mangiava le caramelle che si era nascosto in tasca, a seguire, il sacerdote, i ragazzotti con la statua sulle spalle, le donne con il velo, gli uomini con le scarpe lucide e le anziane sottobraccio alle più giovani, infine, Peppino.
Peppino non si perdeva mai una processione, seguiva il corteo in decoroso e composto silenzio. Solo quando i botti dei fuochi di artificio iniziavano a rombare nell’aria, il cane abbaiava e si andava a nascondere.
Ma non era l’unica cerimonia alla quale Peppino partecipava. Il cane accompagnava anche tutti i cortei funebri: tutti quelli che morivano erano i suoi padroni e vi era affezionato. Aspettava, sull’uscio della chiesa, la salma, poi si metteva tra i parenti a seguire il corteo, a testa bassa.
Si dice che, a volte, passasse la prima notte al cimitero con il defunto.
Gli anni passavano e il cane di tutti diventava anziano. Una mattina, lo trovarono nel prato davanti alla chiesa, steso, con le zampette rivolte verso l’alto: era il 5 maggio. Tutto il paese si strinse intorno al cane. Addolorati dalla sua scomparsa, gli uomini del paese, lo portarono tra il verde dei colli, lo seppellirono sul margine del tratturo, che, in passato, aveva visto passare numerose transumanze.
Altri si occuparono del manifesto che venne affisso sui muri del paese, poi tutti
insieme si recarono dal sindaco a chiedere la cittadinanza onoraria.
Il sindaco del paese, non ebbe difficoltà a concederla, in quanto Peppino era anche il suo cane.
​Ancora oggi sul margine del tratturo, una ginestra gialla, fiorisce ogni primavera.

Peppino, riposa sulle morbide colline di Matrice, piccolo paese in provincia di Campobasso.

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