TUTTE LE MIE POESIE

giovedì 9 giugno 2022

Amo il kebab














Di prima mattina non si pronuncia alcuna parola, e nessuno deve rivolgerti la parola. Di prima mattina non si sorride e non si fanno progetti per la giornata. Non si stira, non si mettono i panni sporchi nel cesto, non si aprono le tende, non si leggono i messaggi. Ma soprattutto di prima mattina non ci si guarda allo specchio. Lo specchio si evita fino a quando non si è truccati.

Gloria segue alla lettera tutte queste buone regole, ma commette l’azione più grave che una donna possa commettere di prima mattina. Un qualcosa che non è nemmeno consentito citare. Un’azione che può rovinare tutto il resto della giornata: si pesa.

Si pesa tutte le mattine. Infatti ha sempre un pessimo umore. Gli si annebbia la vista, odia spudoratamente tutto ciò che è commestibile e diventa insensibile alla fame nel mondo.

Tre etti in più di ieri, tre etti!

Ripete e ripete – tre etti, tre etti.

Ecco il dramma che si porterà dietro per tutta la giornata. Quando percorrerà la strada per prendere il treno: ansimerà.

Tre etti di peso in più, nella sua testa: è obesità!

Essere obesi è un vero disagio, già dalle prime azioni della giornata. Quando ti vesti:

‒ ecco il bottone dei pantaloni mi si conficca nell’ombelico e le gambe sembrano essere compresse dentro tubi cilindrici. L’anello non esce dal dito, non gira neppure, è fermo qui mezzo sbilenco e non c’è modo di fargli fare un piccolo movimento di rotazione. Il collo alto della maglia stringe addirittura al collo e pure le scarpe sembra che mi vadano strette.

Tre etti di peso possono causare danni incalcolabili. Demoliscono l’autostima e istigano al digiuno, all’autolesionismo e in alcuni casi all’omicidio, se solo qualcuno si azzarda a dire:

ma hai preso peso?

preso peso? A chi? Io non ho preso nulla a nessuno, è tutta roba mia. Purtroppo!

Non tutti sanno che quando si incontra una donna, chi essa sia, qualsiasi età abbia, per qualsiasi motivo si incontri, la prima frase da dire per aprire un dialogo, un’intesa, una collaborazione, una notte di sesso è: quanto sei dimagrita! E da lì ti si apre un mondo.

Gloria faticosamente riesce ad arrivare a lavoro. Il primo che incontra è il suo collega Roberto, personcina per bene, un docente rispettato e rispettoso, ma sempre ironico, anche un po' troppo a volte.

Fatto serata eh! Si vede non nasconderlo, sei gonfia.

Sono gonfia, oddio se ne accorto subito. Ecco lo sapevo sono stati quei quattro biscotti allo zucchero di canna. Ne ho mangiati solo quattro. Eppure hanno lasciato il segno.

Ci siamo ubriacate eh! Hai gli occhi gonfi.

Parlava degli occhi, ecco mi chiedevo: come ha fatto a notarlo subito? Ho messo una maglia di mia madre XXXL che mi arriva alle ginocchia, per coprire il grasso in eccesso.

Entro in classe, è tutto come sempre: i ragazzi non si accorgono, ne di me ne che sono ingrassata, sono tutti presi dai cellulari, che hanno tra le mani (e non potrebbero.) Richiamo l’attenzione con un buongiorno carico di timbro e volume. I cellulari spariscono, i ragazzi si ricompongono con calma, ognuno nel suo posto.

Il vocio non si placa:

‒ ehi fra visto la prof che maglia vintage che ha?

Si bro l’ho vista!

Mah vezz sembra mia nonna vestita da sfatta.

C’è un brusio fastidioso e insistente

chissà cosa avranno da dirsi quei tre laggiù in fondo. Li richiamo, li minaccio, gli metto una nota.

è una bummer fra!

Ci ha schicciati!

Finalmente inizio la lezione, si sono tacitati e fingono di ascoltare la lezione. Quando suona la ricreazione sono già tutti in fermento, e io so perché. Rientrano in classe pieni di ogni schifezza possibile. Svuotano i distributori e arrivano carichi di Duplo e Fieste e patatine e tramezzini e biscotti cioccolatosi. Sembra che debba scoppiare una guerra e hanno paura di rimanere senza provviste.

Io non mangio, ho la nausea. Sono obesa. Esco velocemente, appena finita l’ultima ora, preferisco non incontrare nessuno. Passo dall’uscita secondaria, dopo aver appoggiato la mia roba nella sala insegnanti a testa bassa. Faccio il giro lungo per andare a prendere il treno. Attraverso il ponte, arrivo sotto ai portici, salgo al parco, scendo le scalinate percorro il viale, attraverso al semaforo e mi ritrovo di fronte alla stazione. Controllo i passi ne ho fatto 3550 contro gli 8000 che dovrei fare. Oggi salto il pranzo, salto la merenda e forse salto anche la cena. Salto, per schivare lo zaino di un ragazzo seduto a terra e cado miserabilmente sul marciapiedi del binario numero 9.

Batto la testa, ne sento il rumore. Sento anche l’annuncio che sta arrivando il mio treno, cerco di alzarmi, non ci riesco. Un ragazzo, dall’apparenza non del posto mi aiuta, è gentile e garbato, mi raccoglie la borsa e mi chiede come sto:

como svate signiore? Vi ho fare male voi?

È peggio del linguaggio dei ragazzi di scuola, quasi incomprensibile.

sto bene, grazie. Lo rassicuro.

Intanto, a terra, dal lato del mio piede, vedo una, due e più gocce di sangue.

la sangue! ‒ grida il ragazzo.

Infatti è sangue, il mio sangue, scorre dal ginocchio. Mi guardo e vedo un buco nei pantaloni. Molto probabilmente c’è una ferita al ginocchio. Mi siedo su una panchina, che mi libera una signora distinta e gentile, e pure magra. Questo mi fa un po' rabbia, mi acciglio, è per il dolore, lo faccio intendere a tutti. C’è un signore con il bastone, due ragazzi con un skait bool e un uomo tutto impettito con giacca e cravatta, anche lui magro. Apro la borsa, tiro fuori i fazzoletti, alzo i pantaloni e mi asciugo. Intanto il ragazzo straniero non mi molla, osserva ogni mia azione. La signora invece si è allontanata, i ragazzi si rollano una sigaretta, il signore con la cravatta parla al telefono. Il treno, successivo non arriva, eppure era stato annunciato. Provo ad alzarmi e a fare due passi per sentire quanto male ho, adesso sento male anche alla testa, mi porto la mano appena sulla fronte a destra tra i capelli e noto che ho un bel bernoccolo. La gamba mi fa troppo male, non riesco a stare in piedi. Mi risiedo sulla panchina, arriva il treno. Sale la signora, salgono i due ragazzi, sale il signore impettito. Io non salgo, Hassen non sale.

Al pronto soccorso mi chiedono se è mio figlio? C’è gente daltonica in giro. Io sono bionda, carnagione chiara e occhi azzurri. Hassen ha i capelli neri, la pelle nero chiaro, e gli occhi neri. Poi se apre la bocca...meglio che la tenga chiusa.

Mi danno alcuni punti di sutura e una fasciatura stretta, un controllo dopo una settimana e sette giorni di antibiotico.

Io sono seduta sulla panchina stavolta al binario numero 6, Hassen è di fianco a me. È stato con me tutto il pomeriggio. Io sto meglio, in ospedale mi hanno dato un antidolorifico potente. Appena l’ho preso non ho sentito più nessun dolore, ho sentito solo una gran fame. Ma a questo ci ha pensato Hassen, abbiamo due kebab in mano, che sbottavano di ogni cosa, peseranno più di tre etti. Li divoriamo su un binario deserto, in una quasi notte di fine inverno. Uno più affamato dell’altro.

Ma tu dove stavi andando Hassen?

io no prede treno. Io arriva da città altra.

Lo guardavo mentre mangia, è magrissimo, è vestito poveramente, ha un paio di scarpe consumate, uno zaino con una marca pubblicitaria e un sorriso bellissimo. Do un altro morso al kebab, mastico lentamente, assaporo la generosità e prendo lezioni di vita.






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